Autonomie
differenziate
per il Friuli e Trieste
Sono d’accordo con Giancarlo Pedronetto. È ora di smetterla di
parlare di “veri autonomisti”. Vorremmo sapere chi mai può essere
abilitato ad assegnare la patente di autonomista doc da un pulpito
esterno, non avendo mai praticato l’autonomismo.
Vero è che c’è chi all’autonomismo si è convertito in data piuttosto
recente e chi, pur rimanendo all’interno di partiti nazionali, si
professa autonomista.
Insomma sull’autonomismo c’è una gran confusione, tant’è che
recentemente è stata definita dalla stampa “delegazione autonomista”
quella recatasi a Roma per conferire con il presidente della
commissione di vigilanza Rai Petruccioli (Ds e già a suo tempo
direttore del quotidiano del partito comunista italiano L’Unità).
Ebbene di quella delegazione non faceva parte alcun appartenente a
partito autonomista, nemmeno il sindaco di Udine Sergio Cecotti,
forse in passato iscritto al Movimento Friuli, ma oggi sicuramente
tesserato della Lega Nord che nei primi anni della sua presenza in
Friuli ha ritenuto, seguendo indicazioni di Umberto Bossi, che la
prima cosa da fare fosse quella di fare piazza pulita dei “vecchi
autonomisti”, eseguendo una sorta di genocidio politico.
Bisogna quindi – e qui dissento da Pedronetto – proporre una nuova
categoria di pensiero che non può essere quella dei “friulanisti”,
poiché saremmo facilmente bollabili come campanilisti, ma quella dei
“federalisti”, tendenti a raggiungere con la Repubblica italiana un
rapporto di tipo pattizio, basato su riconoscimenti non calati
dall’alto (per questo a noi la “devolution” pare una baggianata), ma
su un processo di avvicinamento a sfere di autonomie sempre più
ampie quali quelle riconosciute, per esempio, dalla commissione
paritetica che si occupa di norme di attuazione dello statuto della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Uno statuto che per noi deve essere riscritto in forma pattizia. Le
attuali norme, è bene ricordarlo, prevedono che lo statuto debba
essere approvato con legge costituzionale dal Parlamento e quindi lo
statuto rappresenta ancora, con l’approvazione a livello centrale,
un qualcosa di “calato dall’alto”, inaccettabile se davvero si è
veri (stavolta l'aggettivazione la usiamo noi) autonomisti.
Ma noi vogliamo spingerci ancora più in là. Giusto pensare a due
sfere di autonomie: Friuli e Trieste. Giusto non essere d’accordo
con un disegno che vorrebbe demolire la stessa idea di Friuli.
Esiste l’Europa, esiste la Repubblica italiana, esiste la regione
Friuli-Venezia Giulia (frutto di alchimie politiche postbelliche e
che tutti sappiamo essere non “sentita” dai cittadini friulani e
triestini), esiste Trieste nella sua unicità e tipicità conferitale
da un territorio estremamente ristretto e dal suo essere città, ma
secondo certuni non può esistere il Friuli, continuamente
oltraggiato, svillaneggiato e frantumato in Isontino o Goriziano,
Monfalconese, Collio, Valli del Natisone, Tarvisiano-Valcanale-Canal
del Ferro, Carnia, Val d’Arzino, Manzanese, Cividalese, Codroipese,
Pordenonese o Destra Tagliamento, Alto e Basso Livenza, Bassa
Friulana e chi più ne ha più ne metta. Esiste il Friuli, che si
voglia o no, piaccia non piaccia. Esiste, piaccia o non piaccia, la
geografia quale scienza avente dignità storica e si può parlare, al
massimo, di Friuli occidentale, Friuli centrale e Friuli orientale.
Che cos’è la Carnia, si obietterà? Semplice: una rilevante e
storicamente dignitosissima porzione montana del Friuli centrale.
Invece a qualcuno piace saltare uno dei livelli (il Friuli) e
arrivare direttamente da una regione posticcia e pastiche ai Comuni
o ad aggregazioni territoriali spesso effettuate a casaccio, sulla
base di presunti interessi socio-economici collettivi che possono
variare, variano e varieranno a seconda del colore dei sindaci, per
esempio, o di interessi del tutto momentanei.
È giustissimo istituire autonomie differenziate per il Friuli e
Trieste e se davvero si vuole mantenere in piedi la Regione
Friuli-Venezia Giulia, per non causare problemi a qualche illustre
costituzionalista o minare un dogma ancor oggi difeso da tutti i
partiti nazionali, quello dell’unità della Regione, si faccia
restituire da Trieste (che deve essere spinta a livelli di autonomia
forse più marcata di quella del Friuli, nella nostra ottica) ciò che
Trieste ha tolto al Friuli.
Basta una piccolissima modifica al nostro statuto. Trieste resti
pure centro dell’off shore, motore culturale (purtroppo è nella
realtà dei fatti e delle contribuzioni pubbliche), polo scientifico
avanzato con i suoi centri di ricerca. Ma sia città autonoma
all’interno di una Regione che deve restituire al Friuli, ovvero
alla parte territorialmente e demograficamente più rilevante, la sua
capitale. Noi proponiamo sia Udine, ma che sia capitale reticolare e
non ottusamente centralista così come Trieste in questi anni ha
pensato solo a se stessa. Udine non accentratrice, ma capace di
essere punto di riferimento e riconoscimento di un Friuli
policentrico, alla cui articolazione territoriale attribuire
speciali forme di marcata e ulteriore autonomia.
Alberto di
Caporiacco
Lega Friuli - Fuarce Friûl
|