L’equivoco dell’autonomismo

 
 


di Adriano Ceschia

 

Secondo alcuni commenti sugli esiti delle recenti elezioni dalle urne sarebbe emerso fra le altre che il vecchio autonomismo è finito assieme al Movimento Friuli, mentre il nuovo lo starebbero interpretando i vincitori delle elezioni, Illy Saro e Cecotti. L’autonomismo di sempre, come l’araba fenice, sarebbe finalmente riemerso nella formula politica adatta ai tempi della globalizzazione e dell’efficientismo produttivo. Forse è venuto anche per il Friuli il momento di arrendersi alla omogeneità che richiede la globalizzazione totale, rinunciando ad essere un soggetto collettivo consapevole, riconosciuto, come lo voleva l’Mf, e caratterizzato da una proprie identità, considerato che non è mai stato capace di esserlo fino in fondo. Si compiacciono in tanti infatti che il vecchio autonomismo non abbia trovato più la sua espressione politica. E sia, ma, per carità, ci venga risparmiato di chiamare questo ‘autonomismo nuovo’, perchè non lo è. Non può essere nuovo perchè non è nemmeno autonomismo. C’era un’area di elettori che non si identificava con i partiti esistenti, c’era una domanda di autonomismo che, anche secondo gli ultimi sondaggi, guardava all’Mf nella misura del 3% circa regionale come negli anni 70: per coloro che  che erano stati sfrattati dai partiti o non erano riusciti ad infilarvisi dentro, chiamarsi autonomisti e presentarsi come tali poteva significare la conquista di un seggio in consiglio regionale. Ci hanno provato alcuni, escogitando la solita furbata. Tutto qua. Ma non è il nome che fa la cosa. C’è stato poi anche qualche autonomista di altri tempi o acquisito tale che si è adoperato per affidare a Illy le sorti dell’autonomia del Friuli, in quanto questi aveva l’aria di essere un candidato vincente. Ma che c’è di nuovo in tutto questo? Non è affatto nuova le tendenza storica dei friulani a deligittimarsi a vicenda per poi ritrovarsi uniti come ‘sotans’ di un potere o di un politico esterno, al quale si sono sottomessi.

Cecotti ha sempre condiviso idee friulaniste radicali, sia sull’identità che sulle istituzioni che spetterebbero al Friuli. Però, se viene associato a Illy e a Saro nella versione aggiornata dell’autonomismo (lui stesso non si è sottratto a questo accostamento), questo significa semplicemente che egli è considerato dall’opinione generale autonomista friulano tanto quanto lo sono gli altri due. Ma come si è espresso l’autonomismo nei discorsi politici di questi in campagna elettorale? Non si è spesa nessuna parola di impegno che non fosse generica sulla salvaguardia della identità friulana, e sull’assetto istituzionale futuro del Friuli unito, dalla Livenza al Timavo, nell’ambito della Regione. Nessun approfondimento in questo senso. Da una parte l’autonomia si è ridotta alla prospettiva del decentramento amministrativo ai comuni ed alle province (il microfederalismo che piace alle sinistre dovrebbe neutralizzare il macrofederalismo che non piace loro), dall’altro è diventata una sorta di protesta perchè Forza Italia romana e la Lega Nord milanese hanno deciso chi dovesse essere il candidato comune della coalizione in Regione, invece che assistere per altri due mesi alla contesa di due delle loro filiali regionali che non sapevano trovare soluzioni in loco. Mi chiedo, con sarcasmo, se Saro avrebbe costruito la sua operazione di protesta in nome dell’autonomia del Friuli se invece della Guerra Bossi e Berlusconi avessero scelto Tondo. E se Cecotti si sarebbe dimesso da sindaco. In fondo sarebbe stata anche questa una imposizione esterna. O no?  A questo punto, se questo dev’essere il nuovo autonomismo, l’unico che sia stato indicato con insistenza agli elettori con abile regia concordata, io resto orgoglioso di appartenere al Movimento Friuli, che lo respinge. Il vero autonomismo per l’Mf consiste nel pretendere che un soggetto collettivo e storico come è il Friuli abbia finalmente le sue proprie istituzioni, che ne salvaguardino l’unità e l’identità e la partecipazione politica. Se queste son cose vecchie io dico che è ancor più vecchia la volontà di negarle, anche se oggi essa si esprime in una versione aggiornata e più sottile, alla Illy.

Questo spiega perché il Movimento Friuli ha scelto di sostenere Alessandra Guerra. Lo ha fatto non solo perchè la candidata negli ultimi due anni ha manifestato convergenza su questi principi, ma perchè bisognava che il partito storico dell’autonomismo friulano chiarisse che l’autonomismo doveva essere ancora quello, la questione friulana era ancora quella, e non poteva ridursi a chi doveva decidere per la Regione il candidato fra due partiti di importazione e alleati tra di loro. E che differenza avrebbe fatto una scelta o l’altra, se l’alternativa elettorale era comunque un candidato estraneo al Friuli come lo è Illy? E lo ha fatto perché con la elezione di Illy non fossero poste le premesse per la vanificazione dei suoi 37 anni di lotte per il Friuli e non fosse rimossa per sempre la prospettiva di portare a compimento il suo programma storico. Non ha potuto presentarsi alle elezioni perchè glielo hanno negato gli stessi tribunali che lo avevano ammesso in un primo tempo, annullando la precedente  sentenza, dopo che sono state esercitate delle precise pressioni politiche. Non ha potuto quindi far emergere nel dibattito politico l’antica questione istituzionale del Friuli, regione mai nata, ha detto qualcuno; è stata personalizzata in forma esasperata la campagna elettorale, all’americana (questo forse è il nuovo che piace tanto); hanno mistificato il concetto di autonomismo. Gli elettori si possono anche ingannare, eccome! Così si spiega anche perchè una squadra di persone  che sono state elette nella lista Movimento Friuli-per Cecotti alle elezioni comunali di Udine del 1998, i D’Aronco, i Pascolat, i Cavallo e gli altri che hanno lavorato con Cecotti per cinque anni per amministrare la città, sono stati semplicemente spazzati via dopo aver assecondato la strategia di Illy. Non sono stati rieletti. E chi si poteva accorgere di loro, dal momento che sono stati complici (qualcuno perfino regista) e vittime ad un tempo del cosiddetto nuovo autonomismo?

 

Articolo apparso sul Messaggero Veneto di Udine - lettere - il 20 giugno 2003