A memoria dell'autonomista friulanista Gino di Caporiacco scomparso il 28 luglio 2001
pubblichiamo un articolo apparso sul Messaggero Veneto del 23 maggio 2001

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FRIULI INGRATO CON I FRIULANISTI

    Saranno tra non molto 40 anni che conosco l'arcipelago dell'autonomismo friulano (che ha caratterizzazioni politiche) e quello più vasto della friulanità (questo con caratterizzazione specialmente culturale).

   Negli ambiti arcipelagosi dell'autonomismo politico sono stato a suo tempo (1966) critico; poi protagonista eletto in consiglio regionale e in consiglio comunale di Udine (1968 - 1973); indi considerato politicamente "traditore" quando decisi di rinunciare alla rappresentanza politica e di lasciarla ad altri. Poi rieletto consigliere comunale di Udine nella lista del Pci (1980-1985) per servire da "sponda" a chi in quel partito si batteva per quella che, solo nel 1999, diventerà la legge 482; successivamente "riabilitato" dal partito autonomista e messo tra i "saggi" che avevano il compito di suggerire una linea di azione politica (fu allora che conobbi personalmente Umberto Bossi e che ebbi l'occasione di organizzare incontri, forum, tavole rotonde et similia); indi chiamato dal partito autonomista a candidarmi nelle elezioni del consiglio provinciale di Udine nel 1990 (trombato); poi osservatore sempre appassionato e  - a richiesta - suggeritore di questo o di quello.

   In ambito culturale, ma sempre con qualche accentuazione politica cominciando dalla collaborazione al Messaggero Veneto (1964) che mi ospitò nei miei primi passi; quindi con libri, articoli, commenti eccetera; poi dalle colonne di Friuli Sera di Alvise De Jeso; poi per mezzo della fondazione (con l'amico Gianfranco Ellero) del Corriere del Friuli fino all'attuale presenza su Internet e alla rinnovata ospitalità sul Messaggero Veneto.

   Dalle mie alterne fortune alle elezioni è detto. In campo culturale ho avuto un unico riconoscimento: nel 1970 (quando ero considerato uno dei "guastatori" dalla allora dominante classe politica democristiana), il senatore Tiziano Tessitori, democristiano, al tempo anche presidente della Deputazione di storia patria per il Friuli, volle, sicuramente sopravvalutando i pochi meriti che allora avevo in campo scientifico, ammettermi come socio corrispondente a quella istituzione.

    Questo curriculum ha il solo scopo di accreditarmi dato che esprimo qui un giudizio sui miei conterranei, giudizio particolarmente riferito alla loro friulanità (cioè a un complesso di valori - se sono valori - che va ben oltre la questione della lingua) e sta alla giusta metà tra politica a la cultura.

    In questi molti anni ho avuto a che fare con infiammati "patrioti" (pochi), con convinti sostenitori delle ragioni della lingua, con equilibrate, ma poche persone dotate anche di buon fiuto politico, di isolati, straordinari protagonisti (di cui dirò), di fermi sostenitori da osteria (anche esportabili all'estero), di profittatori e di delusi profittatori.

   Gli straordinari protagonisti - uno nel campo politico e uno in quello culturale - furono Fausto Schiavi (che seppe trasformare un gruppo che si sarebbe avvitato su se stesso "alla friulana", in un partito politico, capace di andare positivamente alle elezioni regionali e poi - lui morto nel 1972 - di sopravvivere politicamente in qualche modo fino ai giorni nostri) e Manlio Michelutti, che fu presidente della Società filologica friulana (il più autorevole sodalizio culturale nostrano) dopo una ininterrotta serie di notabili democristiani succedutisi nel dopoguerra, messi lì dal loro partito per fare in modo che l'ambiente non si surriscaldasse e diventasse in qualche modo pericoloso per il potere. Quasi come i croati nella vigna immaginati da Giuseppe Giusti.

    Credo, come ho detto, di avere le carte in regola per affermare che - anche alla luce dei recenti risultati elettorali - noi friulani abbiamo forse grandi pregi e qualche difetto (come si crede!), ma se abbiamo difetti, il più grande tra questi è l'ingratitudine politica.

   Nessuno può negare che a partire dagli anni del dopo-terremoto, specialmente uomini di sinistra si sono resi protagonisti di battaglie importanti per sostenere le ragioni della friulanità (quella vera, viva e operante).

   Si devono citare realizzazioni importanti (la particolare impronta data all'Università friulana nella legge costitutiva; la recente approvazione della legge 482/1999) e altre che possono apparire modeste, ma altrettanto importanti (la toponomastica in friulano che ha visto primi protagonisti due sindaci del Pci, a Prato Carnico e a Tavagnacco).

   Ebbene, il "ritorno" elettorale è stato sempre scarso, ancora più scarso il 13 maggio quando i Ds potevano vantare di aver molto contribuito all'approvazione della fondamentale legge 482 che riconosce anche ai friulani il ruolo di minoranza linguistica storica, approvazione ottenuta nella conclusa 13^ legislatura, con l'impegno dei deputati Di Bisceglie (pordenonese) e Ruffino (udinese), entrambi bocciati alle urne e forse prima dai dirigenti del partito, interamente impegnato sull'asse Trieste-Gorizia.

    Ma anche nei confronti della Lega Nord Friuli, che - sia pure ingabbiata nel padanismo e succube troppo spesso degli ordini provenienti da Milano - nella legislazione regionale si è impegnata a far apparire lodevoli tracce di friulanismo, anche se tracce legate (come, a esempio, alla questione del celtismo, che però si deve ricordare era presente anche nelle idee-guida di Fausto Schiavi) ad aspetti piuttosto esteriori e per questo più facilmente contestabili. Queste reali conquiste della friulanità, nella legislazione nazionale e particolarmente in quella regionale, si tenga conto che sono state ottenute "forzando" alleati sicuramente più contrari che favorevoli, come An (erede del Msi-Dn, un tempo pilastro dei contrari e quiin controtendenza rispetto a Roma), e come i variegati eredi della Dc (che fu favorevole a parole, ma quasi immobile nei fatti) in Parlamento.

    Si sarebbe a questo punto tentati di trarre amare conclusioni: se si vuol far "carriera" in Friuli nei campi della politica e della cultura è opportuno non fare i friulanisti militanti. E' prudente e necessario smaltarsi di friulanità quel tanto che basta per catturare consensi e riconoscimenti, calcando i vieti sentieri del perenne bruntulâ in te ostarie, ma non andare oltre.

    I nostri conterranei dimostrano di essere preda se non dell'ingratitudine più sfacciata, almeno della distrazione, mentre per i triestini sono maestri nello sfruttare ogni buona occasione, anche con disinvolti trasformismi: ieri con la Lista per Trieste (Cecovini, Gruber Benco e Camber insegnano), oggi contemporaneamente sia con la Casa della Libertà - Lista per Trieste (Camber  e Antonione), sia con Lista Illy-Margherita-Ulivo (Illy e Damiani). I friulani risultano, invece, singolarmente attratti da modelli d'importazione, da Roma o da Milano oppure da Trieste, stavolta via Gorizia, che - come afferma il neodeputato dei Ds Maran - << è una provincia tra le più ricche d'Italia, tanto che gli indicatori la mettono al settimo posto assoluto >>. Il benessere, talvolta, si vede rende difficile mantenere il senso dell'identità.